Di gradi, promozioni, esami, titoli autoconferiti e umanità assortita
In questi giorni, con alcuni amici (mi piace chiamarli così, anche se con alcuni ci conosciamo solo virtualmente) si è discusso della vexata quaestio dei gradi, su quanto valgano e su cosa farebbero alcuni per appuntarseli sulla obi del keikogi . Come in molte altre questioni, il mio atteggiamento potrebbe essere definito salomonico con un aggettivo benevolo, oppure pilatesco da chi mi abbia un po' meno in simpatia, poiché a mio modestissimo avviso, i gradi sono un onere piuttosto che un onore, e valgono tanto quanto chi li indossa e – soprattutto – quanto chi li ha concessi. Non sono d'accordo con chi ostenta disinteresse per i gradi e ritiene l'esame poco più di una sceneggiata; per conto mio – pur non essendo un esempio di rapida carriera – credo che accettare di sottoporsi ad un esame sia una forma di rispetto verso sé stessi e verso il proprio Maestro, un modo per dirgli: “ ti ringrazio per quello che mi hai insegnato e sono onorato di poterlo mostrare ”. Chi si sot