Fratelli e Sorelle di pratica
Tante, troppe persone, continuano a credere che un praticante di arti marziali o discipline di combattimento sia null’altro che un rozzo energumeno che cerca di apprendere il modo con cui picchiare con più efficacia il suo avversario. Un losco figuro da cui stare alla larga, da cui diffidare, certamente incline alla violenza, dedito alla sopraffazione, pericoloso se non per sé, certamente per gli altri. Nulla di più lontano dal vero. Esistono, ovviamente, soggetti che corrispondono a quella descrizione, ma si tratta di “abusivi”, gente che non ha capito nulla delle arti che (forse) pratica, dei Laszlo Toth che devasterebbero la “Pietà” di Michelangelo con lo stesso martello con cui il Buonarroti la scolpì, vandali che usano le tecniche con fini assolutamente diversi da quelli a cui dovrebbero tendere. Se è vero che queste tecniche nacquero e si affinarono sui campi di battaglia, è altrettanto vero che oggi – al prezzo del sangue, sudore e lacrime versati da chi ce le ha trasmesse – po