Guardare e vedere
Ancora una volta, in questi mesi, sperimento la poco piacevole sensazione di dover affrontare gli impegni quotidiani con una ridotta capacità visiva.
Era già successo a fine 2020, quando avevo subito il distacco della retina dell’occhio destro ed è successo di nuovo a febbraio di quest’anno, con lo stesso problema che ha però coinvolto l’occhio sinistro.
Allora quell’inconveniente, complice il lockdown che stavamo vivendo, fu uno stimolo per impegnarmi nella scoperta di nuove modalità di comunicazione come podcast audio, conferenze online e video didattici, questa volta ho invertito la rotta ed ho preferito lavorare un po’ di più su me stesso, prendendo spunto – tra gli altri – da due insegnamenti provenienti da tempi e luoghi assai distanti tra loro, ma legati da interessanti affinità.
Il primo è quello di don Juan Matus, come lo racconta Carlos Castaneda, che afferma: “Essere un guerriero vuol dire essere umile e vigilante.Fate che i vostri occhi siano liberi: che siano delle vere finestre. Gli occhi possono essere le finestre per fissare la noia oppure per fissare l'infinito.” il secondo è di Musashi Miyamoto, che nel “Libro del Fuoco” compreso nel suo “Go-rin no sho” scrive: "Valutare le circostanze" significa conoscere l'entità del nemico in battaglia: … Questo significa avere una grande abilità nel vedere le cose come sono e se ti identificherai completamente in Heiho potrai facilmente valutare il nemico ed avere la massima possibilità di vincere.”
In entrambi i casi appare evidente la necessità di guardare e vedere (due termini niente affatto sinonimi!) e di farlo con grande attenzione e liberi da pregiudizi. Mi sono quindi chiesto, alla luce della mia menomazione fisica, come dovessi (o potessi…) vedere questi accadimenti.
Quanto segue apparirà ad alcuni banale e non mi stupisce, non sono certo il primo ad essere in queste condizioni e non brillo per acume e saggezza tanto da farmi elaborare pensieri particolarmente originali, ne scrivo quindi – come già ho fatto in passato – più per tenerne traccia a mio uso che con la presunzione di voler essere di ammaestramento ad altri.
La prima e più banale considerazione è stata quella di valutare la gravità di quanto accaduto; certo non è stata una cosa da poco ed ha influito ed influirà in maniera sensibile sulle mie attività presenti e future: addico sforzi, addio movimenti bruschi, addio cadute e rischi di percosse alla testa… ma nella mia pur ridotta esperienza di degente ospedaliero ho imparato che quando entriamo ci lamentiamo di quanto ci è accaduto, quando usciamo – dopo aver condiviso dolori, sofferenze e preoccupazioni con altri degenti - quasi sempre ci riteniamo fortunati che non sia capitato a noi ciò che è capitato ad altri.
Pensiero banale, lo so e lo ribadisco.
A rafforzare quanto sopra, diverse altre considerazioni: affronto questo percorso ospedaliero affiancato ed assistito da quella meravigliosa persona che è mia moglie: è la mia autista, la mia infermiera, la mia badante h24, la mia insegnante supplente e tanto altro. Senza di lei letteralmente non avrei potuto affrontare neppure l’uno per cento di quanto ho vissuto. Insieme a lei i miei familiari: i miei genitori ultra ottuagenari si preoccupano di me quando avrebbero ben validi motivi per chiedere loro assistenza e cura ed i miei fratelli che alla stessa maniera, con discrezione, non mi fanno mancare il loro sostegno.
Ci sono poi gli allievi dei corsi della nostra associazione, quelli dei corsi che dirigo e quelli che seguono altri insegnanti, tutti compatti con i loro auguri ed i loro incoraggiamenti, a riprova che abbiamo creato un gruppo che va ben oltre la solita “palestra”.
A loro, meno scontati e per questo ancor più piacevolmente sorprendenti, gli “amici dei social”, persone con cui – nella maggior parte dei casi - c’è una vicinanza più virtuale che effettiva, con cui ci si vede a distanza di mesi o con cui ci si è incontrati anni addietro, ma ciascuno di loro in questi giorni ha trovato un momento per dedicarli un pensiero ed un incoraggiamento, un gesto che va ben oltre il cliccare su un emoji e che mi ha fatto sentire tutto il loro affetto.
Questa ondata di affetto – confesso inaspettata nei confronti di un burbero orso come me – mi ha rasserenato ed aiutato ad esaminare quanto mi è accaduto con una maggiore obbiettività.
Vedere poco e male per mesi (e per ancora chissà quanto tempo…) non è certo piacevole ma… ma ho la fortuna di avere accanto a me persone che mi aiutano, ho la persona di poter godere – pur con tutti i suoi limiti – delle cure di una sanità pubblica, ho la fortuna di potermi permettere le cure necessarie… no, non è poco, anzi!
E allora in questi giorni mi sono impegnato a “guardare senza occhi”, una pratica i cui rudimenti ho cominciato ad apprezzare nella pratica delle discipline marziali ed oggi si rivela più utile che mai. Chiudere gli occhi e percepire gli odori nelle piante nelle aiuole, la carezza del vento sulla faccia, i suoni che non sempre riusciamo ad ascoltare, chiudere gli occhi e seguire le rutilanti fantasmagorie che il nostro cervello ci fa visualizzare, chiudere gli occhi mentre viaggi in automobile e percepire il senso del movimento pur restando seduti sul sedile, chiudere gli occhi e toccare il bracciolo della poltrona, lo schermo del telefono, la camicia e il pantalone che indossiamo e percepirne trama e ordito, ruvidezza e morbidezza, pieghe e cuciture. Questi alcuni esercizi (semplici ma non banali, come direbbe il Maestro Severino Maistrello!) che mi stanno mostrando un mondo che ho sempre avuto davanti agli occhi e che non avevo mai visto con tanta chiarezza.
Ora, spero ovviamente che questa avventura si concluda presto e bene ma – sia come sia – oggi posso dire che non tutto il male viene per nuocere e sta a noi il trasformare i problemi in opportunità di crescita.
Gambattè!
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